Indice
Altro che fantascienza. Oggi i
robot non sono solo parte integrante di molte attività umane, ma possono svolgere
varie funzioni in modo autonomo, interagire con le persone e aiutare nella cura di alcune condizioni. Insomma, la definizione di
umanoidi non è un caso, per questi concentrati di bit e tecnologia che
spadroneggiano, ancora in fase di test,
anche tra corsie di ospedali.
Se a livello industriale è ormai assodato l’impiego di robot che aiutano o sostituiscono l’uomo nello svolgimento di
azioni ripetitive o pesanti, è sicuramente interessante quello che sta avvenendo in
ambito sanitario sia a livello di umanoidi, sia dei dispositivi controllati dall’uomo (
esoscheletri,
protesi,
dispositivi chirurgici per interventi mini invasivi).
Lo sviluppo di questi dispositivi è legato alla
crescente necessità di autonomia e qualità della vita anche, e soprattutto, in presenza di
fragilità o disabilità. Umanoidi interattivi sono in sperimentazione in varie parti del mondo per tutta una serie di attività soprattutto in ambito
riabilitativo ed educativo con anziani affetti da demenza come l’
Alzheimer e con
bambini con disabilità psico-relazionali o
tumori, per favorire lo sviluppo di competenze sociali e comunicative.

Negli
anziani con problemi cognitivi legati alla memoria si stanno vedendo gli effetti dell’impiego di un
robot, chiamato Paro, che assomiglia a un cucciolo di foca. Nelle pediatrie di alcuni ospedali italiani è presente
Nao,
umanoide di mezzo metro sviluppato con scopi didattici e di aiuto ai piccoli pazienti ammalati di tumore.
Nei piccoli pazienti con
disturbi dello spettro autistico sono di aiuto lo stesso Nao, ma anche
Kaspar, robot umanoide con il volto di un bambino.
Empatici, interattivi, sempre più simili agli esseri umani, i robot umanoidi, in un mondo che invecchia, si candidano a diventare non solo dei domestici, ma assistenti a tutto tondo, salute compresa, come rivela un
articolo del National geographic.
Gli anziani, a causa delle malattie croniche di cui soffrono, con 7 pastiglie in media da assumere per gli over 65 e il 22% a prenderne quotidianamente almeno 10 (
rapporto OSmed 2018), potrebbero
essere aiutati da un robot non solo nell’
assunzione delle medicine, ma anche nel
monitoraggio, la
sorveglianza e, non ultima, nel
ridurre la solitudine.
“Lo sviluppo di questi sistemi autonomi”, spiega
Giorgio Metta, direttore scientifico dell’
Istituto italiano di tecnologia (Iit),
“è molto più complesso di altri robot la cui attività è mediata da un input umano. Al momento” continua Metta
“stiamo sperimentando dei robot negli ospedali della Fondazione don Gnocchi a Milano e di San Giovanni Rotondo (Fg) per il monitoraggio dei pazienti”.
La riabilitazione con la robotica. Perché?
Negli ultimi anni la
robotica è sempre più presente come
supporto nei programmi riabilitativi di pazienti con gravi problemi di disabilità, per aiutarli a conquistare una qualità di vita migliore. Nei grandi centri italiani si sono aperti i
primi laboratori di robotica e attivati percorsi di cura che dimostrano i benefici dell’uso della realtà virtuale e dei robot affiancati ai trattamenti tradizionali.
Macchine di nuova generazione, come l’
esoscheletro indossabile, permettono a pazienti costretti in carrozzina di stare in
posizione eretta e di simulare così quanto avviene nella vita reale. I
risultati positivi si registrano a livello
fisico, ma anche
psicologico. Nel trattamento di
postumi della chirurgia ortopedica, ma anche di stroke (
ictus,
emorragia cerebrale) e dei
traumi cranici o spinali, questi macchinari permettono una
riabilitazione più veloce ed efficace con un 10-15% di benefici in più rispetto all’approccio standard.
Consulta i centri che hanno dichiarato di essere specializzati in Chirurgia ortopedica:
Centri specializzati in Chirurgia ortopedica
L’esoscheletro per tornare a camminare dopo una lesione del midollo

I robot da indossare per sostenere il cammino in fase di
riabilitazione o per
rimettere in piedi chi è bloccato da una lesione spinale, noti come esoscheletri, da gabbie pesanti di 50 anni fa, stanno evolvendo verso forme sempre più
leggere e
intuitive. La trasformazione è epocale: da impalcature che muovono la persona stanno diventando
tecnologia che si muove insieme alla persona.
“Sono già sul mercato alcune versioni che consentono a pazienti paraplegici, bloccati agli arti inferiori per una lesione spinale, di alzarsi”, spiega
Metta.
“Sembra poco, ma è comunque già una cosa utile per l’autonomia. L’obiettivo futuro è di camminare in modo da intercettare la volontà di movimento”.
Importanti
novità sono attese nei prossimi cinque anni, ma intanto, tra i sistemi più promettenti c’è il giapponese
Hal (Hybrid Assistive Limb, assistente ibrido degli arti) che
rimette in piedi la persona con paraplegia grazie alla sua capacità d'
interpretare le intenzioni di movimento di chi lo indossa.
Hal potrebbe presto essere in dotazione in alcuni centri della fondazione don Gnocchi. Non è ancora in vendita in Italia e ha costi elevatissimi anche l’altro sistema giapponese,
Walking Assist, della Honda.
Sono invece stati
pubblicati i primi dati che mostrano come
una persona tetraplegica (bloccata dal collo in giù) sia
tornata a camminare per 176 metri, grazie a un esoscheletro “intuitivo” che pesa 65 kg, ma è un inizio.
Intanto, nei
prossimi mesi potrebbe arrivare un
esoscheletro motorizzato tutto italiano per far tornare a camminare persone con paraplegia. Si chiama
Twin ed è stato progettato e realizzato da Rehab Technologies (Iit e Inail).
La riabilitazione con un robot da indossare
Persone con
deficit parziali o totali della deambulazione possono essere aiutate grazie anche a un
esoscheletro italiano. Si chiama
Phoenix ed è nato nel 2016 da un’idea della romana M.E.S. Spa e dalla padovana Orthomedica Variolo. È una
tuta 'hi tech' indossabile che pesa
12 chili (la metà di altri dispositivi in commercio) che
costa intorno ai 40.000 euro (quasi la metà rispetto a dispositivi 'gemelli').
Questo esoscheletro, come gli altri, può essere utilizzato da chi è affetto da problemi di deambulazione causati da
incidenti, ictus, malattie neurodegenerative (
Parkinson,
sclerosi multipla) o
neoplasie.
Il
robot israeliano ReWalk è impiegato in vari centri di riabilitazione come la
Fondazione Santa Lucia di Roma, l’Istituto Agazzi – Istituto Privato di Riabilitazione “Madre della Divina Provvidenza” di Arezzo e la
Casa di Cura Domus Salutis di Brescia.
Il californiano
Ekso, sul mercato dal 2005, è il più diffuso nei centri di riabilitazione italiani ed è
sperimentato anche per bambini che devono recuperare l’uso delle gambe. Tra i più recenti introdotti in strutture nazionali c’è
Lokomat, l’esoscheletro per la
neuroriabilitazione robotizzata degli arti inferiori, in uso anche al reparto di Medicina riabilitativa dell’
Ospedale G. Marconi di Cesenatico.
Consulta le strutture sanitarie che effettuano una Visita di medicina fisica e riabilitazione:
Dove effettuare una Visita di medicina fisica e di riabilitazione?
Protesi bioniche semplici da applicare
La robotica può anche
restituire la funzionalità persa a livello degli arti a causa di un’
amputazione o di una
malformazione.
“Le bioprotesi o protesi bioniche”, spiega
Eugenio Guglielmelli, pro-rettore alla Ricerca, professore di Bioingegneria Industriale e Responsabile dell’UR di Robotica Biomedica e Biomicrosistemi dell’Università Campus Bio-Medico di Roma,
“puntano a diventare in grado di eseguire non solo i movimenti di presa, come una pinza, ma di restituire le sensazioni grazie al collegamento al sistema nervoso”.

Nel febbraio 2019, una paziente ha ricevuto una
mano bionica che si comporta come quella naturale riuscendo a
percepire consistenza, forma, posizione e dimensioni di un oggetto grazie al
tatto, senza doverlo necessariamente guardare.
“Questo è stato possibile”, continua Guglielmelli,
“perché la protesi è stata collegata con degli elettrodi ai nervi residui del moncherino”. Il risultato è frutto della stretta collaborazione tra il Campus Biomedico, l’Istituto di Biorobotica della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa e con l’Inail grazie al
centro protesi di Budrio (Bologna).
Con
12.000 persone assistite ogni anno (il
35% per un’amputazione all’arto superiore), il centro di Budrio è il più importante a livello europeo. Attualmente al Policlinico del Campus sono stati operati quattro pazienti. In
due è stato
impiantato l’intero arto superiore, visto che l’amputazione era sopra il gomito (transomerale).
“L’ambizione”, dice Guglielmelli,
“è creare un centro di chirurgia bionica, cioè una chirurgia che ottimizzi l’interfaccia con la parte amputata. Attualmente l’invaso, cioè il contatto con la protesi, crea vari problemi. Stiamo lavorando per creare una osteointegrazione, per fare in modo che sia l’osso a sostenere la protesi, senza bisogno dell’invaso”.
Questi dispositivi costano oltre i 50-60.000 euro, ma l’intento è di aprire un dialogo con il Ministero della Salute per valutare come il
reinserimento sociale di una persona con protesi vada a bilanciare i costi che altrimenti si dovrebbero affrontare per l’assistenza.
Stampante 3D. Mani e gambe intelligenti
Nei prossimi anni anche la
stampante 3D avrà un ruolo.
“Stiamo lavorando a un progetto che sperimenterà protesi a basso costo e performance accettabili anche come possibili soluzioni in scenari di guerra”, conclude Guglielmelli.
Una delle eccellenze italiane a livello mondiale è la
mano robotica. All’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, è stata realizzata
My hand. Si tratta di un arto bionico che si integra con i muscoli e il sistema nervoso dell’individuo, senza bisogno di intervento chirurgico, riesce a trasformare la volontà in movimento e restituisce il senso del tatto. Una di queste mani artificiali è stata impiantata a una donna, al
Policlinico Gemelli di Roma, nel 2016.
Hannes è invece la mano robotica realizzata dall’
Istituto italiano di tecnologia (Iit) di Genova in collaborazione con l’Inail. A progettarla è stato il Rehab Technologies Lab, un laboratorio nato dalla collaborazione fra i due istituti.
Questa mano robotica promette di
costare il 30% in meno rispetto alle altre ed è
più leggera, si impianta
senza intervento chirurgico e restituisce a chi la indossa il
90% della funzionalità dell’arto. Questo dispositivo robotico si indossa come se fosse un
guanto robotico, sfrutta i
segnali bioelettrici dei muscoli e li traduce in
movimento.
In questo modo riproduce il funzionamento di una mano vera.
Le dita si piegano e
il pollice può assumere tre posizioni diverse. Lo scorso febbraio una donna svedese è diventata la prima paziente al mondo a ricevere un
impianto transradiale (cioè sotto il gomito) di una mano robotica permanente e con sensibilità tattile sviluppata in Italia dalla Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa e dalla sua
spin-off Prensilia.
Per quanto riguarda invece gli arti inferiori, all’istituto pisano è stata anche progettata, in parte,
Cyberlegs una
gamba bionica al cui sviluppo partecipano altre università europee, l’azienda Ossur e la Fondazione don Gnocchi. A metà strada tra un esoscheletro e una gamba bionica, Cyberlegs consente di camminare, salire le scale e previene eventuali cadute. Rivolto principalmente ad
amputati transfemorali (tutta la gamba), potrà essere utilizzato anche per la
riabilitazione robotica di soggetti con deficit motori.
La rivoluzione dei robot è solo all’inizio
La tecnologia sta cambiando modelli di cura, assistenza e riabilitazione, ma siamo solo all’inizio. Mentre gli umanoidi fanno capolino nelle corsie di
ospedali e
case di riposo, in vista di un possibile ruolo nelle case degli
anziani, le persone senza un arto possono sperare di riacquistare movimenti sempre più simili a quelli umani, grazie a
protesi intelligenti.
Nei centri di riabilitazione si può stare nuovamente in piedi, anche con una lesione spinale, grazie a robot che si indossano, come l’esoscheletro. Nei centri dove sono stati integrati questi dispositivi, si vede che il
recupero funzionale è più rapido e migliore quando si impiega la tecnologia robotica per ripristinare la funzionalità del braccio e della mano dopo un ictus, per
movimenti di presa della mano che significano afferrare una bottiglia o bere da soli. Essere autonomi oltre la disabilità: una sfida su cui la robotica si sta dimostrando importante.