Angioplastica coronarica: intervista al Prof. Bartorelli

Angioplastica coronarica: intervista al Prof. Bartorelli

 Intervista al Prof. Antonio Bartorelli

Responsabile della Cardiologia Interventistica del Centro Cardiologico Monzino IRCCS, di Milano 

Cos’è e quando è indicata un’angioplastica coronarica?

L'intervento di angioplastica consiste nella dilatazione di un restringimento di un’arteria coronarica - causato da una placca aterosclerotica - per mezzo di un catetere a palloncino gonfiato al suo interno. Indicazioni principali sono la presenza di ostruzioni coronariche, che riducono l'apporto di sangue al muscolo cardiaco, e l’infarto miocardico, causato dall’occlusione acuta di una coronaria. La procedura è quasi sempre associata all’impianto di uno stent, una minuscola protesi metallica che viene espansa all’interno della coronarica per perfezionare il risultato. Una svolta in questo campo è arrivata nel 2002, con l'introduzione degli stent medicati - oggi alla terza generazione – che hanno ridotto la ristenosi, cioè il riformarsi del restringimento nello stesso punto, dal 30% al 3-4%, migliorando notevolmente gli esiti.

È oggi considerata un intervento salvavita?

Un’angioplastica, se eseguita tempestivamente, può sicuramente essere considerata una procedura salvavita, avendo contribuito a ridurre la mortalità di oltre 4 volte. Per quanto concerne l’infarto, è sicuramente il trattamento “gold standard” in tutti i pazienti. I formidabili progressi tecnologici che l’hanno interessata, uniti ai miglioramenti delle terapie farmacologiche post-intervento e all’esperienza degli operatori hanno permesso di ridurre progressivamente il ricorso al bypass aortocoronarico. Quest'intervento cardiochirurgico è ancora utilizzato nelle patologie ostruttive più gravi delle coronarie o quando si rende necessario sostituire una valvola cardiaca con una protesi.

Quali sono i fattori di rischio dell’aterosclerosi e che tipo di prevenzione è possibile?

Fattori di rischio, oltre alla familiarità, sono l'abitudine al fumo, il diabete, l'ipertensione arteriosa e l'ipercolesterolemia. Capisaldi strategici della prevenzione, sia per chi gode di buona salute sia per chi ha ricevuto una diagnosi di aterosclerosi, sono invece uno stile di vita sano, una corretta alimentazione, un'adeguata attività fisica e l'astensione dal fumo. Quanto ai farmaci, oggi abbiamo una vasta scelta di terapie valide e con ridotti effetti collaterali per controllare efficacemente l’ipertensione arteriosa, il diabete e l’ipercolesterolemia.

A quali esami sottoporsi per arrivare alla diagnosi?

L’ecografia Doppler (ecocolordoppler cardiaco), tecnica semplice, poco costosa e non invasiva, permette di indagare in modo accurato svariati distretti vascolari: quello carotideo, l’aorta addominale, le arterie renali e quelle degli arti inferiori, ma non le coronarie. Queste arterie, fino a pochi anni fa, potevano essere visualizzate solo mediante un esame invasivo, la coronarografia, la quale consiste nell’inserimento di un catetere in un'arteria periferica, femorale o radiale che, fatto avanzare fino a imboccare le coronarie, permette di iniettare nelle stesse un mezzo di contrasto, che le rende visibili ai raggi X. Oggi, invece, per osservare le coronarie con accuratezza, in molti casi basta la TC del cuore, test non invasivo che richiede unicamente l’iniezione del mezzo di contrasto in una vena periferica. La risonanza magnetica cardiaca (CINE RM) non è utilizzata per visualizzare le coronarie, ma fornisce informazioni utili sul buon funzionamento del cuore. Quanto al ricorso alla scintigrafia miocardica (SPET) - che prevede la somministrazione di un radiofarmaco debolmente radioattivo - proprio grazie all'introduzione di queste nuove tecnologie diagnostiche, si è notevolmente ridotto.

Quali sono le ultime novità della ricerca in questo campo?

Riguardo all’aterosclerosi vascolare, gli sforzi maggiori sono volti a comprendere gli svariati meccanismi fisiopatologici che stanno alla base, al fine di sviluppare nuove strategie preventive. Quanto alle procedure di angioplastica coronarica, invece, sono in corso numerosi studi sulle nuove metodiche di visualizzazione delle coronarie sia di tipo non invasivo, come appunto la TC coronarica, sia di natura invasiva, come la tomografia a coerenza ottica. Ulteriori ricerche ancora in atto mirano a testare stent di nuova generazione e nuovi schemi terapeutici con l'obiettivo di ampliare e migliorare ulteriormente i risultati di queste procedure.

In cosa consiste il follow-up?

I controlli che seguono una procedura di angioplastica coronarica (o un intervento di bypass aortocoronarico) sono principalmente clinici e servono per monitorare l’eventuale ricomparsa dei sintomi tipici dell’ischemia miocardica - cioè dello stato di sofferenza del cuore dovuto all'occlusione delle coronarie. Le loro condizioni, però, vanno valutate periodicamente anche mediante esami da stress come l’elettrocardiogramma o l’ecocardiogramma da sforzo. Se persistono dei dubbi, inoltre, si può ricorrere a una TC coronarica. Se, poi, sintomi ed esami indicano inequivocabilmente una grave progressione della malattia è consigliabile ripetere una coronarografia invasiva.

Come individuare l’ospedale dove sottoporsi all’intervento?

È noto da tempo come vi sia una correlazione diretta tra il numero degli interventi annui, gli esiti positivi e la riduzione delle complicanze. Questa regola vale anche per l’angioplastica coronarica, soprattutto nei casi più gravi, sia dal punto di vista clinico, se si verifica ad esempio un infarto miocardico acuto, sia da quello anatomico, in presenza di lesioni coronariche complesse.

Altri parametri importanti da considerare sono la mortalità a 30 giorni dall’intervento, le cui percentuali sono oggi rese disponibili dall’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali AGENAS (NDR: gli stessi dati sono presenti sul portale www.doveecomemicuro.it), inoltre, la percentuale di complicanze e la necessità di reinterventi, da correlare alla complessità dei pazienti.

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