Indice
Domande e risposte
Che cos’è un test sierologico
I test sierologici sono dei
prelievi di poco
sangue, o da una vena del braccio o dai capillari del
polpastrello, all’interno del quale vengono ricercati gli anticorpi sviluppati dal
sistema immunitario contro il
SARS-CoV-2.
Il test sierologico ci dice dunque se nel corso della
nostra vita siamo entrati in contatto con il virus oppure no, oppure se il
vaccino ha sortito un qualche effetto sulla nostra risposta immunitaria, analizzando la
reazione che in quel momento emerge dal nostro organismo.
Purtroppo, non sempre sono affidabili. In alcuni rari casi riportano
falsi positivi o
falsi negativi.
Test sierologico quantitativo e qualitativo
I test sierologici sono di due tipi:
-
Test sierologici quantitativi: per effettuarli è necessario sottoporsi al prelievo di un campione di sangue, sul quale vengono eseguite analisi con saggi in ELISA o in chemiluminescenza; danno informazioni sulla quantità di anticorpi (per questo sono definiti quantitativi) sintetizzati dall’organismo;
-
Test sierologici qualitativi: comprendono i test rapidi e richiedono che sia prelevata una sola goccia di sangue dal polpastrello; si tratta di kit di facile utilizzo, che determinano la presenza di anticorpi, ma che non sono in grado di fornire dati sulla loro quantità.
Che cosa misurano i test sierologici?
Il nostro corpo produce anticorpi anti-S, anti-spike o anti-RBD, oppure anti-N (nucleocapside). Avere degli anticorpi contro l’antigene N (nucleocapside) significa che siamo entrati in contatto con il virus (non con una sua parte, come con il vaccino a mRNA).
Gli anticorpi sintetizzati a seguito dell’infezione sono di tre tipi:
-
Immunoglobuline di tipo M (IgM): sono gli anticorpi prodotti nella fase iniziale della malattia; la positività per le IgM depone per un’infezione recente;
-
Immunoglobuline di tipo G (IgG): sono gli anticorpi prodotti in una fase più tardiva, definiti anche anticorpi della memoria, perché destinati normalmente a garantire l’immunità nel tempo. Le IgG vengono sintetizzate anche dagli individui asintomatici o paucisintomatici (ossia che hanno avuto la malattia con sintomi molto lievi) grazie a questo aspetto importante gli studi di sieroprevalenza saranno in grado di determinare in maniera significativamente precisa il numero dei soggetti asintomatici;
-
Immunoglobuline di tipo A (IgA): alcuni test valutano anche l’eventuale presenza delle IgA, che sono gli anticorpi presenti sulla superficie delle mucose dell’apparato respiratorio.
Nell’ambito della positività nei confronti delle IgG, è importante conoscere il carattere delle
immunoglobuline sviluppate: sono realmente
immunizzanti non quando semplicemente aggrediscono il
virus, ma
quando hanno il potere di neutralizzarlo. Gli anticorpi neutralizzanti sono quelli diretti contro la proteina che permette al virus di infettare le cellule dell’apparato respiratorio, la
proteina Spike.

Come leggere i risultati di un test sierologico?
Dopo il prelievo di sangue, o venoso (dal
braccio) oppure con una puntura di spillo sul
polpastrello, il sangue viene
analizzato e possono comparire i seguenti casi:
-
IgM e IgG entrambe negative. Significa che il soggetto non è mai stato esposto al patogeno oppure che l’infezione è nelle primissime fasi e pertanto non è ancora rilevabile;
-
IgM positive e IgG negative. Significa che l’esposizione all’antigene è molto recente;
-
IgM e IgG entrambe positive. Significa che l’infezione è ancora in corso e si protrae da poco;
-
IgG positive e IgM negative. Significa che siamo in presenza di un’infezione avvenuta ma non recente.
Cosa non ci dice un test sierologico
I test sierologici possono determinare se un soggetto è entrato in contatto con il virus, ma
non possono darci informazioni su:
-
Contagiosità della persona. L’individuo sottoposto all’esame potrebbe essere negativo ma infettante in quel momento perché gli anticorpi non vengono prodotti istantaneamente: esiste un certo intervallo di tempo fra l’infezione e la loro sintesi. Per questa ragione, dopo un test sierologico, positivo o negativo che sia, occorre che la persona sia sottoposta anche al tampone naso-faringeo per determinare se il soggetto sia in quel momento in grado di infettare altre persone.
- Se la persona sia ormai immune o meno al virus, cioè se abbia o meno sviluppato gli anticorpi neutralizzanti. Questo aspetto è rilevante alla luce del fatto che ormai, dopo due anni e mezzo dall’inizio della pandemia, si è compreso che anche dopo un certo tempo – non definito uguale per tutti - da un contagio, ci si può riammalare.
-
Quanti siano gli anticorpi che la persona produce (è necessario per questo il test sierologico quantitativo) ma in ogni caso non esiste – per il punto precedente – un valore soglia considerato “sicuro” per garantire l’immunità dal ricontagiarsi nuovamente.
Quali test sierologici ci sono sul mercato?
Per essere
immessi sul mercato italiano ufficialmente, i brand dei test devono seguire una procedura di valutazione. È necessaria una marcatura
CE-IVD sia per i
tamponi atti al rilevamento di RNA o dell’antigene SARS-CoV-2, sia per i
test sierologici per anticorpi specifici per SARS-CoV-2. È possibile reperire questa lista all’interno del “JRC COVID-19 In Vitro Diagnostic Devices and Test Methods Database” della
Commissione europea.
Ha senso fare un test sierologico prima del vaccino?
No. Per i motivi sopra citati, il test sierologico, specie quello qualitativo, non dà
alcuna informazione che ci può sensatamente far propendere per decidere di
vaccinarsi o di non vaccinarsi.
L’unica informazione che può dare è se a seguito di una
vaccinazione è stata prodotta una
reazione anticorpale. Il test quantitativo che richiede
prelievo venoso - facendo attenzione di tenere la distanza di un paio d'ore da un
pasto leggero - rileva l’antigene S (il recettore RBD della
proteina Spike). La sola presenza nel sangue dei soli anti-S indica una
risposta dell’organismo al vaccino. Ma di nuovo, questo n
on è un indicatore quantitativo sul fatto se sia sufficiente questa risposta per
essere immuni in quel momento da un’infezione.
Misurare l’immunità con le cellule T
È attualmente in
fase di studio, grazie a un risultato pubblicato da un team del
Tisch Cancer Institute, Mount Sinai (New York) su Nature Biotechnology, un test per misurare l’
attività delle cellule linfociti T, che oggi sappiamo svolgono un ruolo fondamentale per gestire l’avvenuta infezione, di modo che la malattia si faccia meno severa. I linfociti T sono infatti i responsabili della
produzione di anticorpi in grado di riconoscere il virus ed eliminarlo.
Misurare l’attivazione delle cellule T può dunque
fungere da test sierologico per capire se la nostra risposta immunitaria è
ancora attiva, cioè se i linfociti T sono
ancora “attivi” per saper riconoscere la
variante di virus circolante. Pare sia un test interessante soprattutto in riferimento a
Omicron, contro la quale la capacità neutralizzante degli anticorpi sviluppati per
versioni precedenti del virus è meno efficace.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
È necessario fare il test sierologico prima di fare il vaccino per il COVID-19?
No. Il test sierologico, specie quello qualitativo, non dà alcuna informazione che ci può sensatamente far propendere per decidere di vaccinarsi o di non vaccinarsi.
L’unica informazione che può dare è se a seguito di una vaccinazione è stata prodotta una reazione anticorpale. Il test quantitativo che richiede prelievo venoso - facendo attenzione di tenere la distanza di un paio d'ore da un pasto leggero - rileva l’antigene S (il recettore RBD della proteina Spike). La sola presenza nel sangue dei soli anti-S indica una risposta dell’organismo al vaccino. Ma di nuovo, questo non è un indicatore quantitativo sul fatto se sia sufficiente questa risposta per essere immuni in quel momento da un’infezione.
Quali sono i test più affidabili per la diagnosi di COVID-19?
I test sierologici non diagnosticano la presenza del virus in quel momento ma possono dirci con un buon livello di precisione se siamo mai entrati in contatto con il virus oppure no.