Indice
Domande e risposte
Ipocondria: il male che non c’è

Secondo la
definizione che ne dà il DSM, l’ipocondria è un
disturbo psichico che si manifesta con una
preoccupazione eccessiva per la propria
salute, un timore esasperato ed intenso nei confronti delle malattie e della morte. Il paziente ipocondriaco interpreta in maniera sistematicamente
alterata le
informazioni provenienti dal corpo e dagli specialisti consultati.
Il popolare filosofo e psicoanalista
Umberto Galimberti, nel suo Dizionario di Psicologia ne parla come di una
preoccupazione immotivata per la salute.
Lo psichiatra
Vittorino Andreoli, ne sottolinea gli aspetti conflittuali, che legano la paura ed il desiderio stesso della malattia e della morte. L’ipocondria, nelle parole dello stesso Andreoli, è il male che non c’è e la “
voglia di malattia e se la malattia è un’espressione più accettabile e meno diretta della morte, si può concludere che esprime il desiderio di morte”.
Perché si dice ipocondria?
Il termine risale anche etimologicamente alla
medicina ippocratica, che definì questa patologia come il male degli ipocondri, le porzioni dell’addome retrostanti le ultime coste e sottostanti la parte laterale del diaframma, sostanzialmente le aree occupate da fegato a destra e milza a sinistra. Secondo
Ippocrate l’ipocondria era un disturbo dello
stomaco e della
mente che causava disordini della digestione, alterazioni umorali e paura della morte. Gli antichi Greci credevano che nell’addome risiedesse il centro di controllo dei sentimenti e delle passioni: da qui il legame fra emotività ed attività digestive.
Chi colpisce?
L’ipocondria
riguarda una percentuale di persone compresa fra l’
1,3 e il 10% della popolazione, senza distinzione fra maschi e femmine: secondo i dati riportati dal DSM IV (il manuale statistico medico dei disturbi psichiatrici) dal 3 all’8% dei pazienti che
frequentano gli studi ambulatoriali soffrono di ipocondria. L’incidenza di questa condizione è in continuo
aumento.
Quando si manifesta?
Normalmente l’insorgenza della malattia avviene nel
giovane adulto e
permane fino alla
mezza età
.
Molière e l’ipocondria
Il celebre
commediografo francese scriveva di questo disturbo nel ‘600, ne
Il Malato Immaginario, opera nella quale si racconta la vita di un ipocondriaco che, ossessionato dall’ipocondria, vive circondato da medici e parenti che sfruttano la sua malattia per trarne vantaggio economico.
“
Infermo e malato come sono, voglio procurarmi un genero e dei parenti medici, per avvalermi di buone difese contro la mia malattia, avere nella mia famiglia la fonte dei rimedi che mi sono necessari, anche per consulti e ricette”, invoca Argante, il protagonista.
Un ritratto che esaspera le caratteristiche del paziente ipocondriaco e veicola una pesante critica alla classe medica dell’epoca.
Freud e l’ipocondria
Sigmund
Freud descrisse questo disturbo come una
polarizzazione dell’Io sull’organo erroneamente ritenuto malato, ma il coinvolgimento dello psichiatra viennese nella malattia fu
ambiguo, dal momento che in alcuni suoi carteggi emerge il suo timore di soffrirne:
“
É troppo penoso per il medico che si arrabatta per tutte le ore del giorno nel comprendere le nevrosi non sapere se lui stesso soffre di una depressione logica o ipocondriaca [...]. I monelli e mia moglie stanno bene; a lei non ho confidato i miei deliri di morte".
In molti scritti di Freud vengono evidenziate una certa
resistenza ad occuparsene e la tendenza a considerarla una malattia imperscrutabile, insondabile con gli strumenti messi a disposizione dalla psicanalisi.
Woody Allen e l’ipocondria
Uno dei più noti ipocondriaci della nostra epoca, il
regista e attore Woody Allen, ha dato spazio a questa patologia in molte delle sue opere cinematografiche. Nel suo Hollywood Ending, il protagonista (interpretato dallo stesso Allen) si ammala di
cecità isterica, disturbo che, anziché penalizzare le sue possibilità di successo professionale, le esalta.
In occasione del lancio del film l’artista newyorkese scrisse un pezzo per il
New York Times, nel quale definì una sfumatura originale nonché molto personale dell’essere ipocondriaco: “Non sono un ipocondriaco, ma un genere di pazzoide completamente diverso. Sono un allarmista”.
L’ipocondria nella musica
Questo disturbo è
presente in molte
forme di
arte, musica inclusa.
Con la sua connotazione di squilibrio, la parola ipocondria fa capolino fra le parole armoniose della canzone La cura di
Franco Battiato:
“
Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie
Dai turbamenti che oggi incontrerai per la tua via…”
Ipocondria è anche il titolo di una canzone di
Ultimo, nella quale il cantante racconta dell’
amore come rimedio alla malattia.
Anche
Fedez, che ha intitolato una sua canzone
Ipocondria, ne ha parlato in una serie di post sui suoi canali social e nel corso di interviste.
Il cantante milanese ha
dichiarato di averne
sofferto dal momento in cui gli è stata diagnosticata una condizione potenzialmente evolutiva che avrebbe potuto segnare la sua vita. Ma di avere trovato
serenità nell’occuparsi dei figli avuti con la compagna, l’imprenditrice
Chiara Ferragni.
Giancane ne parla nel brano omonimo che canta con
Rancore, descrivendo i sintomi (lingua asciutta, dolore al braccio sinistro, ansia…forse più simili a quelli del disturbo d’ansia): “
È solo ipocondria, Questa mia nostalgia, Ma è solo ipocondria, Questa malinconia”.
Ipocondria: cosa provoca
I
tratti principali con cui la malattia si presenta e che sono decisivi per la diagnosi sono:
- La preoccupazione, che permane da almeno sei mesi, di avere o contrarre una malattia grave;
- L’attenzione persistente e continua riguardo la propria salute, che si traduce in frequenti quanto clinicamente inutili controlli e consulti medici; in casi particolari di ipocondria, il paziente è, al contrario, ma per le stesse ragioni di fondo, spinto ad evitare i controlli, nel timore di ricevere una diagnosi infausta;
- L’evitamento di tutte le circostanze che potrebbero nuocere al benessere, in generale, ed alle patologie su cui si concentra l’ossessione del paziente, in particolare.
Il paziente sviluppa un
interesse specifico nei confronti delle
malattie, se ne
interessa, le
studia. Tuttavia, il suo non è un approccio scientifico, ma un tentativo di trovare
conferma ai propri
sospetti, al di là del valore delle fonti cui attinge e delle proprie reali competenze nell’interpretazione di ciò che legge.
L’ipocondria spinge il
paziente ad
autoprescriversi esami ed
accertamenti,
terapie farmacologiche e di
integrazione, a
misurarsi continuamente la pressione, nella convinzione che i medici abbiano sottovalutato la sua sintomatologia, che abbiano trascurato di analizzare tutti i dati clinici a loro riferiti e che dunque siano giunti a conclusioni diagnostiche superficiali.
Cosa nasconde l’ipocondria?
L’ipocondria
non è il timore, vago e indefinito, di soffrire di una patologia altrettanto ambigua, ma la
convinzione, la certezza di avere una malattia precisa. A sfiancare il paziente, pertanto, non è solo la continua ricerca di conferme, ma anche la sensazione di essere l’
unica persona ad avere compreso la situazione nella sua chiarezza e globalità. Il suo sforzo è quello di chi risale la corrente di un torrente di montagna, impetuoso e travolgente. La sua fatica è quella di chi è circondato da una moltitudine di parenti, amici, conoscenti, consulenti che gli remano contro, che tendono a vanificare il suo impegno.
L’ipocondriaco si sente
superiore (in quanto a capacità di percezione ed interpretazione dei segni clinici)
rispetto agli specialisti da cui si fa visitare, anche quando riconosce loro speciali meriti professionali.
La
salute diviene il
baricentro della sua
vita: ne parla in continuazione con parenti e amici, con i quali condivide preoccupazioni ed ansie e dei quali non sopporta gli atteggiamenti di sdrammatizzazione.
Un fattore
caratteristico e comune nei pazienti ipocondriaci è la
sfiducia nelle proprie risorse, anch’essa verosimilmente derivante dalla mancata esperienza diretta: il bambino costretto a rinunciare a sperimentare il proprio corpo e le sue possibilità dalle restrizioni genitoriali o a causa di una malattia importante sopraggiunta nell’infanzia tende a perdere fiducia in sé e a ritenersi vulnerabile.
Ipocondria e stress
Il paziente
ritiene di essere una
persona fragile per natura, bisognosa di rimanere
concentrata su se stessa e sul proprio stato di benessere (o meglio, malessere) per
evitare di incorrere in
patologie tanto
gravi da non avere possibilità di cura. Si protegge dal
rischio di malattia, da qualsiasi
stress, non si misura e non si espone.
L’ipocondria spinge il paziente ad
estendere la propria fragilità alla
sfera emotiva, all’
apprensione continua ed
esasperata anche verso la propria
salute mentale, ritenuta bisognosa di interventi terapeutici continui.
Nella psicoanalisi lacaniana “
l’ipocondria è non fidarsi del corpo e vederlo come un nemico”, per usare le parole di
Lacan stesso.
Ipocondria e malattia reale
Quando egli realizza che ciò che vuole
controllare nei
minimi particolari, la salute,
non è controllabile come vorrebbe, la sua
situazione psichica precipita. L’ipocondria si alimenta di
aspetti conflittuali.
Da un lato l’attenzione per il benessere fisico spinge le persone che ne soffrono ad
occuparsi della propria salute e ad
aderire a
comportamenti virtuosi anche dal punto di vista della prevenzione. Dall’altro, l’ossessione per la salute e l’impegno sfiancante per l’attribuzione di un significato clinico a segni che ne sono privi produce paradossalmente una riduzione degli standard di salute e un’alterazione del quadro psichico.
Spesso l’ipocondriaco, prostrato dall’
ossessione e suggestionato dal fantasma della malattia,
si ammala veramente.
Ipocondria o malattia
Di fatto, ai fini degli
standard di
benessere dell’individuo,
non fa differenza che la malattia sia immaginaria: se il paziente vive come se essa fosse reale, i
limiti da essa imposti lo sono, così come le
disabilità conseguenti.
L’impatto sulla qualità della vita è molto
simile a quello della patologia temuta.
“Del resto tra un’angoscia per un motivo grave ed obiettivo ed un’angoscia sine materia, le manifestazioni non sono differenti, anche se sul piano della causa possono apparire opposte: da un lato una causa appropriata, dall’altro completamente ingiustificata”, commenta il
professor Andreoli nel suo libro
Le Nostre Paure.
Perché, come sottoli
neato anche dallo psicologo Raffaele Morelli, l’ipocondria non è un capriccio, è di per sé un disturbo reale.
Ipocondria: perdita di peso, ansia e depressione
La
perdita o l’aumento di peso hanno spesso più di un
legame con i
disturbi psichiatrici, tipicamente
ansia e
depressione.
Anche nel caso di questa particolare condizione possono esserci manifestazioni fisiche di dimagrimento non spiegabile con altre cause oppure di craving, di consumo compulsivo di dolci o
alcol che possono portare, al contrario, al
sovrappeso.
Gravidanza e ipocondria
In
gravidanza è abbastanza comune la
preoccupazione della
mamma nei confronti della
salute sua e del feto.
Entro certi limiti, si tratta di una situazione piuttosto
fisiologica. Ma se genera ansia o preoccupazione continua, può essere opportuno
consultare uno
specialista.
La classificazione dei casi di ipocondria
Si riconoscono
tre tipologie di ipocondria.
- Nell’ipocondria classica il paziente sposta la sua attenzione da un sintomo all’altro e da una malattia all’altra. Teme a momenti di soffrire di una forma tumorale (linfoma, leucemia), a momenti di un’altra o alterna diverse malattie degenerative (tipico il caso della sclerosi multipla). Un semplice mal di testa viene immediatamente associato ad un possibile tumore al cervello, per la persona che ne è affetta;
- La paura del paziente che soffre di patofobia, invece, si sviluppa attorno ad un focus ben identificabile. Un esempio frequente è quello delle patologie cardiovascolari, che comporta la paura di essere vittime di ictus, infarto, embolia;
- Esiste, poi, una forma di ipocondria che condivide molti aspetti con il disturbo da somatizzazione. L’ossessione per alcuni sintomi e fastidi porta il paziente alla somatizzazione in apparati specifici. Nel caso sia coinvolto il sistema digerente, si sviluppano manifestazioni reali quali diarrea, dolori addominali persistenti, dispepsia (difficoltà nella digestione).
Le cause dell’ipocondria
Le
più recenti teorie psicanalitiche interpretano l’ipocondria come un
disturbo della sfera psichica che si è accentuato nelle ultime fasi storiche anche come effetto collaterale del progresso scientifico e della maturazione di conoscenze sempre più dettagliate sui meccanismi patogenetici. L’uomo è pervaso dal convincimento di poter controllare le malattie, conoscendole nei dettagli.
Un aspetto ripreso dallo psicoterapeuta
Giorgio Nardone nel suo libro
Psicotrappole. La frequenza di una condizione come l’ipocondria è in forte aumento proprio nell’epoca in cui la grande disponibilità di strumenti di comprensione dei meccanismi che regolano salute e malattia ci illude di poterne avere il controllo.
Questa
chiave di
lettura è supportata dal fatto che l’incidenza dell’ipocondria è in continuo
aumento e che la malattia tende a manifestarsi in forme sempre
più invalidanti. Il fatto che il 15% dei disturbi fobico-ossessivi e ansiosi siano di tipo ipocondriaco rende il fenomeno una vera e propria epidemia psicologica.
Secondo alcuni autori, in alcuni casi la malattia potrebbe avere
origine da un
forte stress o da un evento particolarmente stressante dal
punto di
vista emotivo, come un
lutto.
Ipocondria: cosa significa
Numerosi appaiono essere i
legami fra lo
sviluppo dell’ipocondria e un’
educazione familiare che predispone alla paura delle malattie.
Nel rapporto del paziente ipocondriaco con i propri genitori è quasi sempre possibile riscontrare una componente di
apprensione eccessiva. Tipico è il caso della
mamma ansiosa che copre eccessivamente il proprio piccolo per
scongiurare il
rischio di raffreddore e influenza, che gli somministra
antipiretici ai primi decimi di grado di alterazione della temperatura corporea, del papà che lo iperprotegge dalle comuni
esperienze di
vita, seppure commisurate alla sua età e al suo
livello di
maturazione.
Il caso Astori
Nei soggetti predisposti, anche il
clamore mediatico per un caso clinico che coinvolge un paziente famoso, può determinare un
atteggiamento ipocondriaco.
Come confermato dai resoconti delle
cronache, molti studi medici e centri ospedalieri sono stati letteralmente sommersi di
appuntamenti richiesti da persone sane, in assenza di segni clinici rilevanti, suggestionate dal malore fatale occorso nel marzo scorso al
calciatore della Fiorentina
Davide Astori.
Ipocondria: guardare o non guardare internet?
La diffusione di
internet ed il suo utilizzo
improprio non facilitano la gestione dell’ipocondria: il paziente che naviga in rete alla ricerca di una causa a cui ricondurre la propria costellazione di
sintomi intercetta con
facilità miriadi di risposte (la maggior parte delle quali inesatte) ai
dubbi che lo attanagliano.
Il ricorso
inconsapevole e indiscriminato a dottor Google è alla base di una condizione definita
cybercondria.
Ipocondria per procura
Questo
disturbo genitoriale coinvolge la
salute dei bambini, su cui ricadono le conseguenze più gravi.
La sindrome di Munchausen per procura, anche nota come
sindrome di Polle (dal nome del figlio del barone personaggio delle avventure letterarie), è un disturbo psichiatrico di tipo psicotico difficile da diagnosticare, perché sempre accuratamente mascherato. Una sorta di ipocondria
verso i
figli.
Il genitore, statisticamente soprattutto la madre, è spinto a
riconoscere nel
figlio,
segni e
sintomi di
malattie e lo sottopone continuamente a
visite e
cure, in un iter perpetuo che crea nel piccolo un forte stress psicologico, ansia e paura ma anche
ripercussioni fisiche dovute alle
terapie non necessarie.
La madre utilizza inconsapevolmente il figlio per
soddisfare un
bisogno emotivo personale, secondo schemi di comportamento che possono inquadrare anche un reato penale, come il chemical abuse, ovvero la somministrazione di farmaci o altre sostanze che possono creare danni alla sua
salute fisica e psichica.
Come viene diagnosticata
Perché sia posta la diagnosi di ipocondria, è necessario che i
sintomi riferiti dal
paziente siano correlati ad una manifestazione fisica
inesistente o di lieve
entità. In caso contrario, non si tratterebbe di ipocondria, ma di
preoccupazione eccessiva e
sproporzionata di un dato reale, una condizione nota come disturbo d’ansia da malattia.
La diagnosi differenziale deve essere posta anche nei confronti del disturbo d’ansia da sintomi somatici, caratterizzato da sintomi fisici reali e ben individuabili.
Più nette le
discrepanze con altre
patologie della
sfera psichica, come il
disturbo da attacchi di panico e l’
ansia generalizzata, le cui manifestazioni non sono necessariamente focalizzate intorno alla salute.
Ipocondria: come combatterla e superarla
Chi cura l’ipocondria?
Per affrontare il problema dell’ipocondria, occorre rivolgersi ad uno
psichiatra o
psicoterapeuta.
È possibile curare l’ipocondria senza farmaci?
Il trattamento dell’ipocondria è
integrata fra una
dimensione farmacologica ed una
psicoterapeutica, che vengono calibrate caso per caso.
Farmaci per l’ipocondria
Non esistono a tutt’oggi
medicinali risolutivi per questa patologia: la
terapia farmacologica modifica i sintomi (purtroppo non le cause), supportando la
psicoterapia.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale
Come uscire, dunque, dal
tunnel dell’ipocondria? Il trattamento che sembra dare i risultati migliori è la psicoterapia cognitivo-comportamentale, sostituibile da un
intervento psicoeducativo nei pazienti riluttanti a sottoporsi alla psicoterapia.
L’obiettivo della terapia è quello di
convincere il paziente:
- Che non è malato;
- Che la sua fragilità è solo apparente;
- Che può sopravvivere (e vivere) in maniera dignitosa anche facendo a meno delle attenzioni che erroneamente giudica indispensabili;
- Che è in grado di occuparsi di se stesso e interpretare correttamente i segnali del proprio corpo senza assurde suggestioni.
Paradossalmente, tutti i tentativi di
rassicurazione messi in atto, a diversi livelli, da amici e parenti e medici
rafforzano la convinzione di malattia del paziente. La socializzazione delle preoccupazioni non rappresenta per l’ipocondriaco un supporto alla terapia, come accade per i pazienti affette da malattie, per così dire, reali. Ma,
attribuisce ancora più
valore ai suoi convincimenti errati.
Rassicurazione chiama rassicurazione: il paziente che cerca (con successo) appoggi esterni, avverte solo nell’immediato una sensazione di sollievo. Successivamente, sarà infatti assalito da uno sconforto ancora maggiore, per il rafforzamento della convinzione di essere cagionevole.
Un vero aiuto per l’ipocondria
La vera sfida della terapia psicanalitica dell’ipocondria è l’
interruzione di questa spirale viziosa, attraverso una presa di coscienza dei meccanismi mentali che stanno dietro il disturbo.
Lo psicanalista spiega al paziente la motivazione nascosta che
scatena i suoi
comportamenti, perché possa sviluppare una consapevolezza superiore riguardo ciò che succede realmente nel suo corpo. Il fine è quello di
smascherare le
pressioni inviate dalla
mente, invitando il paziente a vederle per ciò che sono, ossia richieste di rassicurazione, e non come segnali di allerta del corpo nei confronti di manifestazioni ritenute
pericolose per la
salute.
Ipocondria e medicina difensiva
In questo framework già complesso si inseriscono ulteriori
fattori perturbativi.
Uno di questi è rappresentato dalla cosiddetta
medicina difensiva, ovvero l’insieme delle azioni che un medico decide di attuare con lo scopo di difendere e tutelare sé stesso da eventuali danni lesivi al paziente che potrebbero derivare da negligenze mediche.
Spinto
dall’urgenza delle richieste del paziente e preoccupato che i sintomi lamentati abbiano comunque un fondo di verità clinica, spesso il medico finisce con il prescrivere esami e farmaci non necessari.
Una volta
rilevati segnali che riconducono all’ipocondria, il ricorso alla
psicoterapia è
necessario anche ai fini di evitare che il continuo ricorso a procedure diagnostiche, controlli e consulti medici possa contribuire a comporre un quadro alterato della situazione, inducendo gli specialisti in errori diagnostici e/o prescrittivi.
La
terapia dell’ipocondria, si fonda anche sull’
esclusione di farmaci non solo inutili ma talvolta persino deleteri, nella misura in cui mascherano la reale sintomatologia ed impediscono allo specialista di individuare la diagnosi corretta.
Ipocondria e comunicazione medico-paziente
Uno dei punti su cui potrebbe essere vantaggioso
conveniente lavorare per aumentare la percentuale di successo della terapia dell’ipocondria è la
comunicazione fra
medico e
paziente.
Il
professionista in grado di colloquiare con la persona ipocondriaca nella maniera corretta può
contribuire all’inversione di
tendenza del disturbo, prevenendo la sua transizione da semplice malessere a malattia conclamata.
Il miglioramento della qualità del
dialogo agisce anche indirettamente, attraverso la riduzione del rischio di comportamenti di medicina difensiva e di ricorso indiscriminato ad internet a scopo di autodiagnosi e automedicazione.
Ipocondria e somatizzazione
In entrambe queste
condizioni i sintomi non si riferiscono ad un
disturbo organico reale.
Nel caso dell’ipocondria, però, il paziente di
preoccupa minuziosamente dei suoi sintomi, del loro significato, delle relative informazioni mediche.
Mentre il
paziente con il disturbo di somatizzazione soffre di
sintomi fisici multipli, diversi fra loro, difficili da interpretare e raccontare.
Come comportarsi con un ipocondriaco
La partecipazione alla terapia delle persone che intrattengono con il paziente una relazione di tipo affettivo è di fondamentale importanza per la
gestione dell’ipocondria.
Al fine di scoraggiare i
tentativi del paziente di
ricevere rassicurazioni, può essere
utile seguire alcuni
consigli:
- Favorire la sua assunzione di responsabilità del proprio congiunto nei confronti della gestione autonoma della propria salute, stimolando la formazione di una consapevolezza più matura e cosciente;
- Non assecondare le sue esigenze di porsi al centro dell’attenzione per i propri sintomi;
- Non acquistare medicine per lui, fissargli appuntamenti con i medici, non di comportarsi da infermieri o terapeuti, non consultare insieme a lui/lei fonti di informazione che possano rafforzare le sue convinzioni;
- Fingere di non sentire quando elenca i suoi sintomi, temporeggiare quando sollecita consigli;
- Spiegargli che compiacerlo nella ricerca di una diagnosi inesistente non sarebbe una dimostrazione di affetto, ma un danno, un potenziamento della sua fragilità;
- Convincerlo/la di essere più forte di quanto lui/lei stesso/a creda, tanto da essere in grado di occuparsi da solo della propria salute;
- Spostare il focus della sua attenzione sui segnali positivi che il suo corpo gli invia, smontando quelli che lui interpreta come negativi.