Intervista al Prof. Francesco Traina
Direttore della Struttura Complessa di Ortopedia e Chirurgia Protesica dell'Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna
Quanto sono frequenti le fratture del collo del femore?
Ogni anno, circa 80 mila italiani con più di 65 anni vengono ricoverati per una frattura del collo del femore. Un dato che è in aumento esponenziale a causa dell'invecchiamento progressivo della popolazione. Si pensi che in Europa, queste fratture sono raddoppiate nell'arco di 50 anni e si calcola che nel 2050 si arriverà a quota 1 milione.
Quali sono le cause?
La prima responsabile è l'
osteoporosi, una malattia caratterizzata da una diminuzione della massa scheletrica e dal deterioramento osseo. La sua incidenza è piuttosto elevata.
A soffrirne, nel nostro Paese, infatti, sono circa 1 donna su 3 e 1 uomo su 5. Nei giovani, la
frattura del collo del femore è generalmente legata a incidenti sportivi o stradali. Negli anziani, invece, può essere associata a comorbilità: alcune malattie, infatti, come il
diabete, possono ridurre la robustezza dell'osso. Inoltre, il minore equilibrio e il deterioramento organico tipico dell’età avanzata possono favorire le cadute, altra causa di fratture.
Quale prevenzione è possibile?
Lo stile di vita è in grado di influenzare non poco la comparsa della malattia. La prevenzione, quindi, andrebbe cominciata molto prima di raggiungere l'età media di insorgenza. Sebbene nell'infanzia non si possa parlare di osteoporosi, le sane abitudini andrebbero apprese fin da piccoli perché poi è più complicato modificare i propri comportamenti. Per contrastare la malattia sono fondamentali una vita attiva e un'alimentazione corretta che garantisca un adeguato apporto di calcio e vitamine, in particolare di vitamina D. Inoltre, sono da evitare il fumo, l'eccesso di alcol e una perdita esagerata di peso. Si è visto infatti che l'osteoporosi colpisce maggiormente le persone sottopeso.
Chi e quando deve sottoporsi a un controllo?
Tutti coloro che rientrano nella fascia di rischio dovrebbero sottoporsi a una visita per valutare la salute delle ossa: donne in menopausa, soprattutto se insorta precocemente prima dei 45 anni, pazienti con comorbilità e persone
over 70 con fattori di rischio accertati. L'esame consigliato - a carico del Sistema Sanitario Nazionale se c'è la prescrizione del medico - è la
Densitometria ossea MOC (DEXA), esame che fornisce le informazioni più attendibili e che consente di valutare la densità dell'osso nei siti più a rischio, come la schiena e il collo del femore. Alla diagnosi di osteoporosi, poi, si arriva correlando i risultati del test con parametri di riferimento che servono a stabilire se la densità ossea è nel range di normalità.
Quali trattamenti sono disponibili per chi soffre di osteoporosi?
Per quanti soffrono di una conclamata osteoporosi e rischiano maggiormente una frattura esistono diversi trattamenti, a cominciare dagli integratori di calcio e vitamina D. Tra le molecole più impiegate, ci sono i bisfosfonati, derivati dall'ormone paratiroideo, una ghiandola che regola il metabolismo dell'osso. E ancora, i sostituti del calcio. I farmaci disponibili sono diversi ma non sono esenti da effetti collaterali. È importante, quindi, rivolgersi a uno specialista. In Italia, ci sono numerosi centri specializzati che dispongono di équipe multidisciplinari di medici che si occupano di osteoporosi, endocrinologi, ortopedici, ginecologi, ecc. in grado di delineare il profilo del paziente e individuare il farmaco più adatto. L'osteoporosi è una malattia multifattoriale e può rappresentare anche un sintomo di patologie più gravi. Non esiste un farmaco che va bene per tutti, è quindi importante capire qual è quello più adatto.
In che direzione sta andando la ricerca scientifica?
La ricerca punta a individuare nuove molecole che abbiano minori effetti collaterali e che non necessitino di una somministrazione quotidiana. Molti pazienti, infatti, essendo asintomatici, non comprendono l'importanza della terapia. Si calcola che ad abbandonarla sia il 50%. Tra gli obiettivi, quindi, c’è la messa a punto di molecole che possano essere somministrate anche una volta al mese o una volta l'anno e che favoriscano una maggiore aderenza alle cure.
Quando è indicato l’intervento chirurgico?
In caso di
frattura del collo del femore l'operazione è sempre necessaria, a meno che non ci siano delle controindicazioni assolute legate alle condizioni generali del paziente. Il tipo d’intervento, poi, dipende dalla localizzazione della frattura. Se è lontana dall'articolazione, si procede con un trattamento di osteosintesi, che consiste nell'unire due parti dell'osso fratturato con viti, chiodi e altri mezzi idonei. Se è vicina all'articolazione, questa viene generalmente sostituita con una protesi. Nella maggioranza dei casi si opta per una
protesi totale d'anca e solo raramente per una endoprotesi, che comporta la sostituzione solo della componente femorale. Si è visto, infatti, che la prima offre risultati migliori in termini di mobilità. L'endoprotesi viene utilizzata solo in pazienti che già prima dell'intervento camminavano poco per i quali una protesi articolare totale non significherebbe un reale beneficio a fronte di un intervento più lungo e complesso.
Quali esami sono necessari prima dell’intervento?
Se si sospetta una frattura del collo del femore è sempre opportuno fare una radiografia per capire la natura della lesione. Inoltre, è necessario sottoporre il paziente a una visita generale per capire se ci sono comorbilità e individuare la soluzione chirurgica più adatta. Solo se le immagini radiografiche non sono chiare o se permangono dubbi vengono richiesti esami di 2° livello come la TC e la Risonanza magnetica (RM).
Come scegliere l’ospedale?
Le strutture che effettuano più operazioni in un anno per frattura del collo del femore, in base alle evidenze scientifiche, sono quelli che vantano risultati migliori in termini di sopravvivenza a lungo termine. D'altra parte, non si può prescindere dal rispetto del timing. Gli studi, infatti, dicono che prima s’interviene e più si riducono le possibili complicanze, come l'embolia polmonare e l'infarto del miocardio. A causa dell'urgenza, quindi, questo tipo di operazioni si svolgono generalmente nell'ospedale territoriale di competenza.
Gli ospedali italiani accreditati che eseguono almeno il 60% degli interventi entro 48 ore dal ricovero, come stabilito dalle autorità ministeriali, sono aumentati passando dal 31% nel 2010 al 58% nel 2016 (fonte PNE 2017): come giudica questo risultato?
L'obiettivo è arrivare al 100%. Studi recenti invitano a intervenire addirittura entro 24 ore. Purtroppo, alla base di una frattura del collo del femore in età avanzata può esserci un disequilibrio organico tale che pazienti particolarmente fragili, anche se trattati in maniera idonea e in tempi rapidi, possono non sopravvivere a lungo. La mortalità a 30 giorni dall'intervento, infatti, si aggira intorno al 6%, un dato piuttosto alto.
Quanto è importante la riabilitazione post intervento?
È fondamentale. Andrebbe evitata, infatti, in questi pazienti la costrizione a letto per periodi prolungati perché può scatenare la cosiddetta
“sindrome d'allettamento”, cioè l'aggravarsi di patologie preesistenti precedentemente ben compensate. La
riabilitazione viene iniziata nell'ospedale in cui si esegue l'intervento, ma poi va continuata in un centro riabilitativo di lunga degenza. E qui entra in gioco la rete territoriale di assistenza: ormai tutte le Regioni, con differenze tra una e l'altra, ospitano questo genere di strutture. In alcune aree, però, le attese sono eccessivamente lunghe. Sarebbe auspicabile, quindi, un intervento della politica per migliorare la continuità assistenziale.
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