Covid-19, lo psicologo in corsia Damiano Rizzi: “Così assistiamo medici e famigliari”
Intervista a Damiano Rizzi, psicologo clinico, Presidente della Fondazione Soleterre, attivo presso i reparti Covid del Policlinico San Matteo di Pavia

In prima linea, accanto al personale sanitario, bardati di maschera, camice, occhiali e guanti. Così hanno dovuto imparare a lavorare gli
psicologi della Fondazione Soleterre che operano nei
reparti Covid del
Policlinico San Matteo di Pavia, presidio tra i primi a essere travolti dall'emergenza.
Supportano psicologicamente gli
operatori sanitari, ma anche i
famigliari dei malati. Rappresentano una boccata di “ossigeno”, metaforicamente parlando, in reparti dove da molte settimane si lavora sotto pressione e senza sosta.
Damiano Rizzi, Presidente di Soleterre, racconta la sua
esperienza in corsia e ci parla delle possibili
ripercussioni e dell'impatto psicologico che la pandemia potrebbe avere sulla popolazione.
Com'è stata accolta l'équipe dagli operatori sanitari e di quanti psicologi si compone?
Il team, composto da
dieci psicologi, è stato accolto in modo molto favorevole dal personale ospedaliero.
“Non osavamo chiedervi di venire nei nostri reparti”, ci ha confessato il
Primario di Infettivologia del San Matteo, Raffaele Bruno: questa frase sintetizza abbastanza bene un sentimento diffuso.
Quanto a noi, stare in prima linea e
poter partecipare al dolore, ma anche alla gioia che si prova quando i pazienti vengono dimessi, è ciò che ha fatto la differenza. Il
Covid-19 ha
ridotto al minimo la comunicazione tra le persone in reparti dove i pazienti sono troppo impegnati a respirare per raccontare qualcosa di sé e i medici troppo bardati per poter ricorrere almeno al linguaggio non verbale. È drammatico, per gli operatori sanitari, lavorare con “corpi” di cui non si conosce nulla. Quella che
viene a mancare è
la dimensione umana. Per questo, noi psicologi, tra le altre cose, ci occupiamo di
raccogliere le storie dei pazienti - contattando i famigliari - e di riportarle agli operatori.
Un intervento che permette anche di
restituire dignità umana a queste persone,
prive del conforto dei famigliari più stretti, in quelli che per alcuni sono gli ultimi istanti di vita.
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Che valore ha per i pazienti Covid la possibilità di restare in contatto con i propri famigliari quanto meno attraverso i tablet che sono stati distribuiti negli ospedali?
La nostra équipe sta ricevendo ringraziamenti per un'operazione svolta ancora prima che i tablet venissero distribuiti. Nella fretta, molti pazienti, al momento del ricovero, hanno dimenticato i
caricabatterie del cellulare a casa. Recuperarli ha significato, per loro, la possibilità di restare in contatto con la famiglia, cosa altrimenti impossibile visto che in ospedale i parenti non possono entrare. Questo dà la misura di come anche
interventi banali possano, in questo contesto, rivelarsi
estremamente preziosi.
Riguardo ai
tablet consegnati, bisogna considerare che soprattutto gli
anziani poco informatizzati, magari alla prima video-chiamata,
non sono in grado di utilizzarli in autonomia. È necessario che
qualcuno li aiuti a contattare i parenti e digiti il numero al posto loro. Questo è un intervento complesso e drammatico dal valore immenso.
Quali sensazioni e timori accomunano medici e infermieri?
La paura più grande è quella di ammalarsi e diventare veicolo di infezione. Comune a molti operatori, in questa fase, poi, è una
sensazione d'impotenza davanti a un virus sconosciuto di cui si fa ancora fatica a comprendere i comportamenti.
I vecchi modelli sembrano funzionare poco e si ha la sensazione di fare un salto indietro nel tempo.
Pur disponendo, infatti, di elevatissime capacità di cura, anche
sistemi tecnologicamente avanzati - come ad esempio l'
ossigenazione extracorporea (ECMO) -, risultano
poco efficaci di fronte a questa nuova malattia, che va studiata con un
atteggiamento mentale di grande apertura.
Allo stesso modo, anche
noi psicologi sentiamo la necessità di
creare “nuove mappe” perché nessuna tecnica oggi è sufficiente, da sola, a dare una risposta adeguata alla situazione di ansia generalizzata e sospensione spazio-temporale che stiamo vivendo.
Come possono gli operatori sanitari mantenere alto l'umore in un contesto come questo?
È quello che ci si domanda, in effetti, vedendo
alcuni medici e infermieri che riescono a conservare il sorriso nonostante passino la giornata in luoghi di disperazione. Probabilmente riescono a
restare in qualche modo “scollegati” dalla realtà, ancorati ad altri scenari. Oppure,
concentrandosi sulle loro mansioni, riescono ad astrarsi. Questa capacità è di grande aiuto. Gli
psicologi hanno una funzione simile: sono
portatori di “ossigeno” in reparti dove è fondamentale che gli operatori mantengano la lucidità pur vedendo morire tante persone ogni giorno.
Come sta reagendo la popolazione alla pandemia?
Anche in questo contesto, si fa fatica a intercettare delle traiettorie univoche. Di base, le persone hanno vissuto
vicende diverse: c'è chi, durante la quarantena, ha continuato a lavorare e abita in un'
area geografica poco coinvolta e chi, invece, ha
perso l'impiego, ha subìto dei
lutti famigliari importanti e vive in un
territorio gravemente colpito dal virus. All'interno di queste macro-differenze, poi, ciascuno reagisce in modo personale. Alcuni trovano in sé risorse che non credevano di avere e scoprono lati del loro carattere che non conoscevano, altri si sentono persi. La
sensazione di non riuscire a farcela, d'altra parte, è normale quando i cambiamenti avvengono in maniera così repentina. Non mancano nemmeno le ambivalenze in chi talvolta sente di poter reggere il colpo e in altri momenti crolla temendo di aver perso tutto.
In questi casi, in base a quanto riportato dalla letteratura, si può parlare di
disturbo acuto da stress o di disturbo post-traumatico da stress. Però, la situazione è talmente nuova che bisognerebbe
considerare l'idea di un disturbo con specificatore Covid-19.
È importante che chi si è preso cura di un famigliare a casa possa contare su un supporto psicologico per elaborare l'esperienza?
È fondamentale. Soprattutto per quanti hanno aspettato un'
ambulanza che ha tardato ad arrivare e hanno provato una sensazione di abbandono. Il rischio, in questi casi, è che si sentano “ancora più vittime” in una situazione già terribile. Il supporto psicologico, allora, può aiutare a rivedere quanto accaduto da
più angolazioni e
non solo da un unico punto di vista.
Come possono i cittadini affrontare un lutto senza aver avuto la possibilità di offrire conforto ai famigliari scomparsi o averne celebrato il funerale?
La
situazione che si è creata con la pandemia ha
complicato sicuramente
le fasi di elaborazione del lutto. I cittadini che hanno perso un famigliare vengono privati di quei rituali che rendono più “umana” la morte. La vicinanza alla fine dell'esistenza, l'ultimo saluto, la celebrazione del funerale: questi riti sono l'unico modo che abbiamo per “controllare” il tragico evento. Quando non sono possibili, lo strappo netto rende la morte ancora più incomprensibile.
Come accettare che la vita di una persona - con i suoi sentimenti, progetti, prospettive, ricordi, sensazioni, emozioni, litigi, Natali, Pasque, compleanni - si riduca a un barattolo di ceneri? Siamo alla ricerca di una rappresentazione collettiva che dia significato a tutto questo. Un'immagine potrebbe, ad esempio, essere quella di
un ponte tra il mondo pre-Covid e il mondo post-Covid,
che conduca verso una ripresa o un cambiamento.
Un collegamento costruito con le ceneri delle persone scomparse, che hanno reso possibile questo passaggio.
Quali possono essere i risvolti di un evento tragico che, per la prima volta, ha coinvolto tutto il mondo?
Oggi si prova un'empatia generalizzata verso chi soffre o chi ha perso un famigliare. È ciò che succede nei momenti di catastrofe collettiva: scatta una sorta di
identificazione nell'altro. Non è un caso che in questo momento ci si senta più uniti, parte della stessa vicenda umana. Però, come la storia insegna,
col tempo si tende a dimenticare.
Tra un po' la pandemia potrebbe ridursi, quindi, da “grande emergenza in grado di cambiarci l'esistenza” a “episodio drammatico costato molto a qualcuno di cui qualcun altro non si è quasi accorto”.
È importante che la
memoria venga
tramandata affinché il sacrificio di tanti medici e infermieri non venga dimenticato.
Un'immagine simbolica, allora, può rappresentare un
monito per non ricadere in errori che ci hanno portato a perseguire la logica del “profitto per il profitto” senza considerare l'esistenza nella sua dimensione più ampia.
(Photo credit: Simone Durante)