Indice
Domande e risposte
Che cos’è la malattia di Alzheimer
La malattia di Alzheimer è la forma più comune di
demenza senile, e oggi colpisce circa il
5% delle persone con più di 60 anni. Sebbene la maggior parte dei malati abbia più di 80 anni, ci sono casi di
Alzheimer precoce, anche a 40 o 50 anni. Come tutte le demenze, si caratterizza per una perdita progressiva della memoria associata a un disturbo cognitivo: perdita del linguaggio, delle capacità esecutive e del pensiero critico o astratto.
Viene definita come una malattia cerebrale caratterizzata da
demenza progressiva e irreversibile che si manifesta in età adulta o senile. In sostanza si attiva un meccanismo che distrugge le cellule del cervello, causando un
deterioramento a oggi irreversibile delle
funzioni cognitive.
Dal punto di vista morfologico, nella Malattia di Alzheimer il
cervello è ridotto di peso e volume per una diffusa
atrofia del tessuto cerebrale. Le alterazioni anatomo-patologiche caratteristiche sono:
- “Placche senili", aggregati di amiloide nello spazio extra-cellulare;
- “Degenerazioni neurofibrillari", depositi proteici all’interno della cellula nervosa;
- “Angiopatia amiloidea", danno vascolare indotto dall’amiloide.
L’Alzheimer non è un’unica malattia, ma
non sappiamo moltissimo dal punto di vista morfologico. Un articolo apparso nel 2017 su Nature ha individuato una variabilità nelle caratteristiche degli ammassi della
proteina beta-amiloide, che si traduce in diversi tipi di malattia: forma
tipica,
atrofia corticale posteriore e
rapida progressiva.
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Centri specializzati in Alzheimer
Possibili cause di Alzheimer

Solo nell’
1% dei pazienti la malattia ha un’origine genetica ed è quindi
ereditaria, nel senso che è possibile (non certo) che compaia fra generazioni vicine in familiari stretti. Generalmente in questi casi l’Alzheimer è dovuto a una mutazione genetica autosomica dominante presente sin dalla nascita e i figli, della persona portatrice presentano, indipendentemente dal sesso, un rischio di ereditare la malattia del 50%.
Fino ad ora la ricerca scientifica è riuscita ad
individuare alcuni dei geni in cui possono essere presenti delle mutazioni (Presenilina1, Presenilina2 e il Precursore della Proteina Beta-Amiloide APP). Ma bisogna precisare che al momento non tutte le mutazioni sono note.
Nel restante
99% dei casi l’
insorgenza della malattia è
sporadica. Non è nota la causa scatenante, ma si sta studiando la correlazione fra la malattia e l'alterazione del metabolismo della proteina precursore della beta amiloide (detta APP) che,porta alla formazione di beta amiloide, una sostanza neurotossica che accumulandosi nel cervello porta progressivamente a morte neuronale. Non essendo nota una causa scatenante,
non ci sono metodi di prevenzione mirati.
Tuttavia, studi clinici dimostrano che diversi fattori, oltre a quelli genetici, potrebbero avere un ruolo importante nello sviluppo e nel decorso della malattia, quali:
-
Dieta sana ed equilibrata;
-
Attività fisica;
-
Impegno sociale.
Tali fattori giocano un ruolo fondamentale nel mantenere in salute le persone nonostante l’età e per questo motivo potrebbero essere implicati nello sviluppo dell’Alzheimer.
Diagnosi della malattia di Alzheimer
La certezza totale della presenza della malattia si può fare solo con una
biopsia del cervello per individuare le
placche amiloidi nel tessuto cerebrale, cioè con un’autopsia. Le diagnosi in vita sono dunque solo di:
-
Malattia di Alzheimer possibile. La diagnosi è basata sull'osservazione di sintomi clinici e sul deterioramento di due o più funzioni cognitive (per es. memoria, linguaggio o pensiero) in presenza di una seconda malattia che sebbene non funga da causa, rende comunque la diagnosi di malattia di Alzheimer più dubbiosa;
-
Malattia di Alzheimer probabile. La diagnosi è basata sempre sull'osservazione di sintomi clinici e sul deterioramento di due o più funzioni cognitive ma non vi è la presenza di una seconda malattia.
Non esiste quindi un test specifico per diagnosticare la malattia, ma si procede escludendo altre patologie. La prima cosa che viene fatta è una visita dove il medico pone al paziente e ai familiari alcune domande, per esempio su difficoltà di memoria o di gestione delle proprie necessità. Il malato può essere sottoposto ad una
visita neuropsicologica, e spesso viene impiegato un test chiamato
Mini-Mental State Examination (MMSE), che consiste in una serie di
domande specifiche (come il
test dell’orologio) e di
operazioni semplici da far eseguire al paziente.
Vengono poi proposti
esami di laboratorio per escludere altre malattie ed esami strumentali come
Risonanza magnetica e TAC (Tomografia assiale computerizzata) che permette di misurare lo spessore di una parte del cervello, che nei malati di Alzheimer risulta assottigliata. È possibile poi sottoporre il paziente a
SPECT (tomografia computerizzata ad emissione di fotone singolo) che misura il flusso del sangue nel cervello e a
PET (tomografia a emissione di positroni).
I sintomi dell'Alzheimer
I primi sintomi spia riguardano la perdita di memoria (
amnesia), ma è bene tenere presente che ci sono diversi tipi di memoria.
-
Memoria episodica. Si divide in memoria a breve termine (che conserva le informazioni dell'ultima ora) e memoria a lungo termine;
-
Memoria semantica, che riguarda il significato delle parole;
-
Memoria procedurale, il ricordo di come si utilizzano gli strumenti.
Poi c’è l’
Afasia, l’alterazione nella capacità di parlare o capire, sia sostituendo una parola con un’altra o senza trovare il legame fra un termine e un altro.
Un altro sintomo è l’
Agnosia, cioè la perdita della capacità di riconoscere gli oggetti e a che cosa servono.
Accanto a questi sintomi, i malati presentano
cambiamenti di personalità e disturbi del comportamento, fra cui l'
incontinenza, l'
aggressività, e l'
insonnia.
Come si evolve la malattia di Alzheimer
La malattia ha
decorso lento e progressivo, e possiamo individuare
tre fasi:
- Nella fase iniziale il sintomo principale è il deficit della memoria a breve e medio termine, generalmente minimizzato dallo stesso paziente e dai parenti, che spesso si associa a una reazione depressiva secondaria alla consapevolezza della perdita di memoria;
- Nella seconda fase il deficit della memoria è sempre più marcato e progressivamente si accompagna a disturbi dell’attenzione, della capacità critica e di giudizio, del linguaggio e della difficoltà a partecipare ad attività lavorative e familiari. Non sono rari disturbi del pensiero di tipo persecutorio o paranoideo. La capacità di svolgere attività quotidiane risulta compromessa e il paziente necessita di assistenza parziale;
- Nella terza fase il deficit della memoria interessa anche la componente a lungo termine e si associa a grave compromissione di tutte le componenti cognitive sopra descritte. I disturbi del pensiero possono accentuarsi ed eventualmente associarsi ad allucinazioni e deliri. In questa fase il paziente è completamente non-autosufficiente e necessita, quindi, di un’assistenza completa.
Progressivamente possono comparire
difficoltà a deglutire, difficoltà nei movimenti, perdita di peso e di appetito e
maggiore sensibilità alle infezioni.
Trattamento del morbo di Alzheimer
Purtroppo a oggi la malattia di Alzheimer
non è guaribile, ma esistono
farmaci che possono
migliorare per qualche tempo i sintomi cognitivi. Si tratta degli
inibitori della acetilcolinesterasi, un enzima che distrugge il neurotrasmettitore acetilcolina e aiuta nelle prime fasi della malattia, e della
memantina.
Qualche
speranza di una
nuova cura nel trattamento di pazienti con malattia precoce o lieve viene da un
anticorpo monoclonale,
aducanumab, attualmente (settembre 2020) in fase di approvazione negli Stati Uniti. A inizio 2019 le aziende coinvolte avevano deciso di interrompere le sperimentazioni di Fase III (ENGAGE ed EMERGE), per valutare l’efficacia e la sicurezza di aducanumab, perché i risultati non sembravano essere quelli sperati nel rallentare il declino cognitivo e funzionale dei pazienti. Tuttavia, a ottobre si è reso disponibile un insieme di dati più ampio che invece mostrava risultati più promettenti circa il ruolo della
rimozione della beta-amiloide aggregata, che può
ridurre il declino clinico della malattia di Alzheimer.
Intanto si continua a studiare nell’ottica di poter
giocare d’anticipo, individuando gli elementi che possono portare alla malattia. Una strategia che si prova da tempo a seguire è quella di
mettere a punto anticorpi anti beta-amiloide, ma al momento i risultati non sono stati soddisfacenti.
Un’altra strada è quella della
diagnosi precocissima. È in atto per esempio il progetto inglese EDoN (Early Detection of Neurodegenerative diseases) dell'Alzheimer Research UK, che mira a capire i segnali precocissimi delle demenze, non solo dell’Alzheimer.
EDoN riunisce esperti globali in scienza dei dati, tecnologia digitale e neurodegenerazione per sviluppare uno strumento digitale per la diagnosi precoce delle malattie che causano la demenza. L’idea è raccogliere enormi quantità di dati digitali donati da volontari di studi di ricerca utilizzando
app per smartphone e dispositivi indossabili, con l’obiettivo finale di sviluppare un
dispositivo digitale in grado di rilevare queste "impronte digitali" in persone che non presentano ancora
sintomi evidenti di demenza.
Per rimanere aggiornati sugli studi in corso e sulle prospettive di trattamento della malattia di Alzheimer consigliamo di
monitorare il sito web dell’Osservatorio Malattie Rare (OMAR) https://www.osservatoriomalattierare.it/alzheimer.
A
giugno 2021 la FDA americana (l'equivalente dell'italiana AIFA)
ha autorizzato l'uso del nuovo farmaco aducanumab, per l'uso negli Stati Uniti. Bisogna però
frenare i facili entusiasmi. “Gli studi che hanno condotto alla approvazione – commenta il Prof. Gioacchino Tedeschi, Presidente SIN - hanno documentato la riduzione del deposito di amiloide nel cervello dei pazienti trattati pur mancando ancora la conferma che questo dato strumentale correli con un reale miglioramento clinico".
Sono necessari dunque nuovi dati per capire se il farmaco porti
davvero a una
migliore prognosi per tutti i pazienti. Come si è detto,
non sono infatti
note le
cause della malattia di Alzheimer, né che cosa determina un decadimenti cognitivo più o meno rapido nei pazienti, sebbene si stia studiando
molto la
correlazione fra la
malattia e l'
alterazione del metabolismo della proteina precursore della beta amiloide.
La riabilitazione dell'Alzheimer

Un altro metodo efficace per contrastare lo sviluppo della malattia è costituito dal
"training cognitivo" multidimensionale che si avvale di
tecniche mnemoniche, di concentrazione e di orientamento, oltre a strategie per ricordare eventi e appuntamenti.
Le terapie di riabilitazione sono di diverso tipo:
-
Terapia occupazionale, per rendere il malato il più autonomo possibile nelle sue attività quotidiane, come lavarsi, nutrirsi;
-
Stimolazione cognitiva. Alcuni esempi: la creazione di brevi racconti, che aiutano a fissare i ricordi e migliorano la padronanza del linguaggio, i passatempi più comuni come le parole incrociate, le carte o il sudoku.
-
Rot o Reality Orientation Therapy, per supportare l’orientamento spaziale del paziente;
-
Validation Therapy, un insieme di tecniche per comunicare empaticamente con la persona;
-
Pet Therapy.
Per le famiglie è una gestione difficile, ma non si è soli. Ci sono diverse associazioni, anche con distaccamenti locali. Segnaliamo per esempio la
Federazione Alzheimer che supporta i caregivers:
www.alzheimer.it.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI